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Questa Sera Si Recita A Soggetto

QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO
di Luigi Pirandello

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Uno sputo in faccia ai miei postumi estimatori - di Andrea Bisicchia

Il fitto carteggio, pubblicato nei Meridiani Mondadori, a cura di Benito Ortolani, ci permette di ricostruire meglio, sia il soggiorno berlinese, sia le due messinscene di Questa sera si recita a soggetto, avvenute tra gennaio e marzo 1930 in Germania, inframmezzare dall'edizione italiana del 14 aprile 1930. Sembra che Pirandello si trovasse in Germania fin dal 10 ottobre 1928, in compagnia di Marta Abba che rimarrà accanto al Maestro fino al 13 marzo 1929, ovvero dieci mesi prima del debutto di Questa sera si recita a soggetto, durante i quali, la quasi quotidiana corrispondenza, ci permette di addentrarci nei vari stati d'animo di Pirandello, amareggiato per l'abbandono di Marta che gli rendeva più drammatico l'esilio berlinese, e più angosciosa la solitudine, anche se si sentiva preso da uno strano vitalismo: "La colpa è mia che mi son lasciato prendere dalla vita, quando non dovevo : Ora non mi è più possibile sentirmene abbandonato; più i giorni passano, più cresce la mia angoscia e la mia disperazione; e non so che cosa sarà di me domani" (20/ 3/1,929). Eppure iI domani poteva essere roseo, dato che alcuni giorni dopo questa lettera, riceve il telegramma di Mussolini con la nomina di Accademico d'Italia. "Dunque sono Accademico d'Italia. Ma rimango, mia cara Marta, lo stesso stessissimo pover'uomo di prima" (22/3/ 1929). Con la lettera del '29, possiamo dare per certa la stesura definitiva di Questa sera si recita a soggetto: "C'era sulla scrivania la nuova commedia, lasciata lì senza la fine da tanto tempo, e l'ho finita, l'ho finita in quattr'ore di fervidissimo lavoro". Il prologo della commedia verrà pubblicato per la prima volta in Pegaso, Rassegna di Lettere e Arti, (a. I n.4, aprile 1929) da Ugo Ojetti, a cui Pirandello l'aveva mandato, con l'accompagnamento di una lettera: "Mio caro Ugo, che avrai pensato di me e del mio lungo silenzio? (l'ultima lettera a Ojetti risalirebbe al 20/8/1928, spedita da Viareggio). Sono qua a combattere con queste teste dure, e spero che riuscirò alla fine a ottenere qualche cosa. Intanto lavoro a una nuova commedia a che certo è, tra tutte, la più originale: Questa sera si recita a soggetto. Te ne mando il prologo che può stare da sé e che pone (mi pare) all'estetico in genere, e alla critica in particolare, un problema nuovo. Se ti va, pubblicalo nel Pegaso".

La lettera è spedita da Berlino (Htzigstrasse 9), senza data, ma dovrebbe precedere quella della Abba, perché la commedia non risulta compiuta. Intanto la notizia della novità pirandelliana, arriva a Salvini che immediatamente ne fa richiesta. Siamo nell'aprile del '29, un anno prima della messinscena italiana. Pirandello non nasconde i suoi dubbi sulla distribuzione; le Compagnie italiane in formazione in quegli anni, non lo convincono. Intanto nel luglio del '29, Max Reinhardt gli chiede un incontro per discutere della commedia, incontro che non avverrà perché un grave lutto, la morte del fratello, glielo impedirà. A causa di questa disgrazia, Pirandello dovrà rinunziare alla firma del grande regista, a cui aveva dedicato la commedia con queste parole: "A Max Reinhardt la cui incomparabile forza creativa ha dato magica vita sulla scena tedesca ai Sei personaggi in cerca d'autore, dedico con profonda riconoscenza questa terza parte della trilogia del teatro nel teatro". Pirandello, frattanto, è preso da una strana frenesia; visita i teatri della Capitale, incontra attori, registi, capocomici, frequenta i cabarets, conosce Georg Kalser, che apprezza molto, è raggiunto da Rossi di San Secondo. A farci il resoconto delle giornate pirandelliane a Berlino sono: Pietro Solari (L'Italia letteraria, 3 novembre 1929) e successivamente Corrado Alvaro, sul medesimo giornale, con data 14/4/1929.

Finalmente la commedia andrà in scena al Neus Shauspielhaus di Kónigsberg (25/1/1930), regia di Hans Carl Múller. Non si poté considerare un avvenimento, trattandosi anche di un debutto in provincia, ma il successo non mancò. Ludwig Goldstein, sul Berliner Tageblat (30/1/1930), a parte qualche riserva, scrisse che si trattava di una modemizzazione della "commedia dell'arte all'italiana e dunque di un plaidoyer dell'arte della recitazione di contro all'arte del regista". I giornali italiani si disinteressarono del debutto, soltanto il Messaggero, in un trafiletto di poche righe, ne dà notizia (7/3/1930), in ritardo, soffermandosi, però, sui festeggiamenti preparati per Pirandello dalle autorità locali. Tra la prima di Konigsberg e quella berlinese, passano alcuni mesi. Nel febbraio del '30, scrivendo a Marta Abba, Pirandello lamenta la crisi dei teatri tedeschi: "Le condizioni dei teatri, quanto delle case cinematografiche, sono in questo momento spaventose. Più di sei teatri sono falliti e son chiusi, tra gli altri, la Renaissance, quello di Hartung, e lo Shauspielhaus, cioè il teatro di Stato, è in crisi Reinhard tira avanti con un teatro solo" (27/2/ 1930). In Italia, nel frattempo, Salvini sta preparando la sua edizione; in una lettera del 21/3, Pirandello si lamenta con la Abba: "Di Salvini non so più notizie. Ho messo in guardia il Nulli circa il Questa sera si recita a soggetto e ho preteso che il Salvini mi scriva dicendomi quali sono le sue intenzioni e che contratto vuol fare". Salvini si fa vivo con una lettera del 27/3, a cui Pirandello risponde tre giorni dopo (la lettera è conservata presso il Museo dell'Attore di Genova, fu pubblicata in La fiera letteraria, 19 maggio 1966; il lettore può leggerla in Questa sera si recita a soggetto, a cura di Roberto Alonge, Oscar Mondadori, 1993. pp. 209-215); racconta la messinscena di Carl Muller che ha dato "un magnifico e vistosissimo risalto tanto alla processione religiosa, quanto alla scena di cabaret"; però mentre ne fa resoconto, non nasconde certe sue indicazioni registiche che diventano sempre più palesi verso il finale della lettera, dove propone anche delle battute da aggiungere nel finale che, come osserva Alonge, costituiscono una fase intermedia fra la prima edizione del '30 e quella definitiva del '33. La prima italiana avverrà a Torino il 14 aprile 1930. Il testo, come è noto, fu sottoposto ad una specie di censura da parte del regime, alquanto oculato nelle opere che avessero, al centro dell'azione, argomenti militari o religiosi. li successo, però, fu senza riserve, proprio al contrario di quanto avvenne per l'edizione berlinese di Gustav Hartung, regista di stretta osservanza reinhardiana, con belle scene di Cesar Klein. Le prove dell'edizione berlinese, al Lessingtheater, dovevano iniziare dopo Pasqua; Hartung aveva trascorso le festività studiando il testo e contrappuntando il copione, riservandosi di parlarne con lui, dopo il n'entro. Ciò che, però, interessava lo scrittore agrigentino non era tanto la regia, quanto la distribuzione che lo teneva molto in ansia; così come lo era stato per quella italiana quando addirittura aveva paventato un vero e proprio disastro, prima per la scrittura della Peroni, che doveva sostituire la Masi, quindi per Carlo Ninchi, nella parte del dottor Hinkfuss e della Starace-Sainati per quella della signora Ignazia. Pirandello non si accontentava facilmente; i suggerimenti dati nella lettera citata, furono bene accolti da Salvini e confermati da un telegramma: "Seguito suoi suggerimenti commedia risulta perfetta"; e, forse, non volendo, il regista italiano, strafare, riuscì meglio nell'impresa.

Con Hartung le cose andarono un po' diversamente: il regista aveva dovuto chiudere il Renaissance Theatre, ed era ritornato sul mercato, come puro régisseur che voleva dare dimostrazione di sé, facendo ricorso ad un autore internazionale come Pirandello, ma non aveva calcolato che l'attesa era eccessiva. Il teatro risultava esaurito, sotto il debutto non si era parlato d'altro che di questo avvenimento. La serata, al contrario delle previsioni, fu tempestosa.

Pirandello nella lettera a Marta Abba, scrive: "M'è parso di ritornare alla "prima" dei Sei personaggi a Roma. Ma la tempesta di quella sera memorabile fu scatenata da nobili passioni, fu l'urto violento dei giovani contro i vecchi, iersera invece fu l'osceno livore d'una masnada d'invertiti che si scatenò aizzata da Feist (il traduttore non voluto da Pirandello), dalla sua famigerata cugina e da altri del gruppo di Reinhardt oltre che dagli avversari di Hartung" (1/6/1930).

Si era trattato di un vero e proprio complotto; qualcuno aveva letto la commedia in chiave anti Reinhardt, anche se il grande regista non si mostrava d'accordo.

La ricostruzione di Oscar Budel, fa prevedere il complotto, perché nella sua cronaca fa riferimento ad uno scandalo previsto fin dai primi due atti. Pirandello se la prendeva con la messinscena, a suo avviso, pessima, dato che Hartung aveva sottoposto alle sue invenzioni registiche, il vero significato del dramma che appariva troppo arbitrario e slegato. La realizzazione sembrava a Pirandello come quella di un'orchestra che, cacciato via il direttore, offriva agli orchestrali il destro per suonare per conto proprio. Nella lunga lettera citata prima così conclude: "Il lavoro per me era stato ucciso dall'Hartung. Per me aveva vinto chi aveva fischiato, avrei fischiato anch'io, in luogo d'inchinarmi a quegli applausi e a quelle ovazioni, che volevano farmi piacere e mi urtavano. M'è parso iersera d'essere in Italia. Non so più ormai dove me ne debba andare. Gli odi m'inseguono da per tutto. Forse è giusto che me ne vada dalla vita, così cacciato dall'odio dei vili trionfanti, dall'incomprensione degli stupidi, che sono la maggioranza..."

Come ha dimostrato Michele Cometa, la versione di Pirandello contrastava con quella della stampa, dato che i giornali berlinesi furono molto parziali sia nel criticare che nel riportare quanto era accaduto. Tacquero gli applausi indirizzati all'autore che era sì molto amareggiato. Sopportare ancora battaglie alla sua età ed essere soprattutto oggetto di odio, sia all'estero che in Italia, non lo riteneva giusto. Sembrano, così, premonitori le parole che abbiamo messo nel titolo, indirizzate alla Abba, il 29/4/ 1930: "Mi dispiacerà di non poter più alzare la testa dalla mia cassa per tirare uno sputo in faccia ai miei postumi estimatori".

Andrea Bisicchia

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